CORRIERE CANADESE / “Quella famiglia è morta per evitare la deportazione”. Protesta davanti all’ufficio del ministro Mendicino

AKWESASNE MOHAWK – Emergono nuovi, drammatici particolari sulla tragedia della famiglia Iordache, annegata nel fiume St. Lawrence nel tentativo di raggiungere gli Stati Uniti dopo l’espulsione dal Canada. 

Stando a quanto riferito dall’avvocato Peter Ivanyi martedì pomeriggio a CTV, l’Immigration, Refugees and Citizenship Canada (IRCC) ha acquistato i biglietti aerei per i due cittadini rumeni di etnia Rom (Florin Iordache e Cristina Monalisa Zenaida, entrambi 28enni) e i loro due figli – Evelyn di due anni ed Eylen di un anno e mezzo – ma la famiglia non si è mai presentata in aeroporto: Evelyn ed Eylen, entrambi nati in Canada e cittadini canadesi, non facevano parte dell’ordine di espulsione ma, secondo Ivanyi, i biglietti per i bambini erano stati acquistati per “assicurarsi che i genitori fossero deportati”. Già, deportati. Perché è questo il termine che ricorre nelle leggi canadesi dell’immigrazione: proprio la stessa parola che evoca tempi bui, come quelli della Germania di Hitler.

Il giovane padre di Toronto, che dunque rischiava la deportazione in Romania con tutta la famiglia, “sentiva di aver esaurito le opzioni” e “deve essere stato molto disperato”, ha sottolineato l’avvocato, quando ha preso la fatale decisione di non presentarsi al Pearson Airport il 29 marzo e di fuggire con sua moglie e con i due bambini negli Stati Uniti attraverso le gelide acque del St. Lawrence.

Ivanyi ha affermato di aver assistito Florin e Monalisa dal 2018, quando erano arrivati in Canada, e ha spiegato che l’IRCC aveva recentemente rifiutato la valutazione del rischio pre-rimozione dei suoi clienti, cioè la loro richiesta di sospendere l’espulsione per poter partecipare ad un appuntamento dei loro figli con un neurologo presso l’Hospital for Sick Children. “E così, quando l’immigrazione ha detto ‘no, devi salire su quell’aereo il 29 marzo’, sono sicuro che Florin abbia pensato ‘non posso, devo andare da qualche parte dove almeno posso dare temporaneamente ai miei figli ciò di cui hanno bisogno’, anche perché non credeva di poter ottenere cure mediche adeguate per i suoi figli in Romania”, ha detto Ivanyi. “E forse aveva ragione”. Inoltre, per la famiglia Ordache il ritorno in Romania sarebbe stato un incubo: là, infatti, sarebbero stati discriminati per la loro etnia. “E quindi penso che (Florin) abbia pensato che, per il bene e gli interessi dei suoi figli, non gli fosse rimasta altra scelta, visto che aveva praticamente esaurito ogni opzione per rimanere in Canada”, ha detto, aggiungendo che Florin sembrava essere sfinito e con un peso molto pesante sulle spalle. “Florin non parlava mai di sé stesso. La sua unica preoccupazione erano i bisogni dei suoi due figli piccoli”, ha aggiunto l’avvocato.

Com’è noto, la tragedia della famiglia Iordache non è la sola perché nello stesso naufragio è morta un’altra intera famiglia, provenienti da Mehsana, Gujarat (India): Praveenbhai Chaudhari, 50 anni; sua moglie Dakshaben, 45 anni; i due figli Meet, 20, e Vidhi, 23; erano entrati in Canada con un visto turistico due mesi fa.

Intanto, martedì pomeriggio la Migrant Workers Alliance for Change (MWAC) ha tenuto un sit-in di protesta davanti all’ufficio di North York del ministro della Pubblica Sicurezza, Marco Mendicino, in risposta alla tragedia degli otto migranti morti. Durante la manifestazione, gli organizzatori hanno consegnato all’ufficio del ministro una petizione che chiede la fine del STCA, il Safe Third Country Agreement, accordo stipulato fra Usa e Canada per gestire “meglio” il flusso di richiedenti asilo alla frontiera terrestre condivisa, recentemente modificata in senso restrittivo a seguito di un notevole afflusso di richiedenti asilo.
I manifestanti hanno inoltre chiesto lo status di residente permanente per tutti i migranti. “Sono anni che diciamo che questo accordo uccide le persone”, ha detto Syed Hussan, direttore del MWAC, durante la manifestazione.

Uno degli oratori, David Copzaru, è un rifugiato Rom dalla Romania. “Siamo venuti qui per essere protetti”, ha detto alla folla. “Non siamo trattati come esseri umani in Romania e in tutta Europa a causa del nostro colore e della nostra lingua. E poiché siamo Rom, siamo zingari, non siamo accettati come esseri umani”. Proprio come ai tempi di Hitler.

Nella foto in alto, un momento della manifestazione di protesta svoltasi martedì davanti all’ufficio del ministro Mendicino a North York (foto da Twitter- @MWACCanada)