Panem et circenses

Pubblichiamo, qui di seguito, l’editoriale di novembre di Giuseppe Arnò, direttore de La Gazzetta italo-brasiliana, rivista on line degli Italiani in Brasile

Lucano? Questo nome mi pare d’averlo sentito prima della sentenza emessa dal Tribunale di Locri nel processo ´Xenia` (presunti illeciti nella gestione dei migranti). Ah sì… si tratta dell’ex sindaco di Riace, certo Domenico Lucano.

E poi, Morisi chi è? Ah, ecco, l’ex responsabile della comunicazione di Matteo Salvini (indagine di sospetta detenzione e cessione di sostanza stupefacente). Un’indagine che ora si avvierebbe verso l’archiviazione: danno e sputtanamento!
È il cittadino comune e apolitico che così pensa e commenta.

Ebbene, per entrambi i personaggi di cui sopra rulli di tamburi mediatici, talk show all’arrembaggio di interviste con persone ´sapute` (i tuttologi che dicono la loro in merito a qualsiasi argomento), titoli sensazionalistici e morbosi sulla stampa progressista che da una parte annunciano lo scandalo della sentenza del Tribunale di Locri e dall’altra l’incalzare dell’inchiesta dei PM di Verona a carico del guru dei social della Lega, Morisi.

E la Meloni? Ah sì… lei è ben nota: ha scritto di recente un libro di successo «Io sono Giorgia – Le mie radici, le mie idee» e c’è pure lei nel tritacarne mediatico, tant’è vero che la di lei virtù si vede contaminata dalla controversa inchiesta di Fanpage.

Oh, che sbadati! Stavamo dimenticando un certo Rocco Femia, ex sindaco di Marina di Gioiosa Jonica (caso di sospetta collusione ´ndrangheta-politica), assolto nel marzo scorso dopo aver scontato da innocente cinque anni di galera (1836 giorni per l’esattezza) e all’epoca, ancora una volta, gran polverone con le sortite giornalistiche e via dicendo. Bene, qui ci fermiamo: la lista va oltre…

Sensazionalismo
Certo, sensazionalismo: questo è il nostro Paese! È ciò che di esso si pensa all’estero a causa della forma con cui si affrontano determinate tragedie umane rendendole oltremodo polemiche nonché fattispecie di processi mediatici, mentre con la più grande indifferenza vengono negletti i veri problemi che affliggono l’Italia e il triste mondo in cui viviamo.

Per quanto riguarda le tragedie umane ci riferiamo alla gente comune o no che assurge clamorosamente agli onori della cronaca, in senso negativo o positivo, solo perché politicamente strumentalizzata. E di strumentalizzazione si tratta, dal momento che, dopo al massimo una settimana di show, nulla più rimane del turbine di notizie assillanti che quotidianamente ci hanno rotto con ripetitiva chiassosità i timpani e qualcos’altro di vulnerabile.

La politicizzazione delle tifoserie
«Quando l’opinione pubblica appare divisa su un qualche clamoroso caso giudiziario – divisa in “innocentisti” e “colpevolisti” – in effetti la divisione non avviene sulla conoscenza degli elementi processuali a carico dell’imputato o a suo favore, ma per impressioni di simpatia o antipatia. Come uno scommettere su una partita di calcio o su una corsa di cavalli.» Leonardo Sciascia, articolo pubblicato su El País, 1987.

Verità indiscutibile quanto affermato dall’illustre maestro di Racalmuto, grande difensore della propria autonomia di pensiero contro la stoltezza del pensiero assoluto. Ora, procedendo sulla stessa linea di pensiero di Sciascia, discetteremo sulle cause che portano alcune espressioni dell’attuale servizio pubblico d’informazione a fomentare e contrapporre le c.d. tifoserie l´una all´altra nei casi degni di fare notizia.

A tal proposito possiamo seriamente ritenere che i processi mediatici, svolti nei salotti televisivi e nella carta stampata scandalistica nei confronti di un determinato personaggio, siano prevalentemente politicizzati, fantastici e di conseguenza più che mai deleteri per coloro che ne sono coinvolti. Detti processi determinano non di rado l’esito, arrecando danni irreparabili all’immagine del malcapitato soggetto, dei familiari, dei collaboratori e financo quando egli alla fine risulta essere incolpevole.

Purtroppo, ancora ai nostri giorni la società è all’eterna ricerca di un ´untore` da portare al rogo e non ci si rende conto della linea di confine esistente tra lo svolgimento di un processo e la sua notiziabilità, tra il dovere di cronaca e l’afferente spettacolarizzazione. «Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!» affermava Isaac Newton, ma per gli influenzatori sensazionalisti anche una goccia fa brodo per favorire l´accoglienza di quegli spettacoli che riescono a suscitare molta attenzione proponendo in sostanza poco o nulla di buono.

È per questo stato di cose che l’Italia è unica: è il solo Paese al mondo ad essere quasi da cima a fondo ´stregato` dai talk show e dai processi mediatici. In sostanza, si tratta di un’anomalia propriamente italiana, non priva di conseguenze per gli attanti e le espressioni della democrazia rappresentativa.

E così è. Difatti, alla vigilia del voto delle elezioni amministrative, Domenico Lucano e Luca Morisi sono stati lo spunto per i fuochi d’artificio mediatici: assicurata la carne al fuoco per una settimana o forse più! Molti talk show, dal vessillo ideologico oramai rappresentato dal «gentismo», il cui compito è ritenuto dai rispettivi responsabili ambiziosamente sociale, ci somministrano quotidianamente spettacoli ben orchestrati: il controcanto lo fanno i conduttori dell’altra sponda, ideologicamente avversari, che tentano pure loro di plasmare l’opinione del cittadino qualunque, non ancora politicamente ´ammaestrato`. Insomma, in questo strano teatro della vita, ognuno recita la propria parte secondo il solito copione.

Ne è prova il fatto che la missione dei c.d. salotti tv, al limite della categoria ‘talk show’, è blandire quella porzione di pubblico perpetuamente inappagata, sfruttarne le inclinazioni e spronarla al punto di creare una profonda divisione ideologica tra «buoni e cattivi». È così che l’informazione, se intenzionalmente ideologizzata, crea le tifoserie; esacerba gli animi; e divide amici e familiari.

Ma si arriva a tanto? Eccome! Poi, per uno strano caso, avvengono le assurde e violenti manifestazioni di piazza come quelle di sabato 9 ottobre, che si sarebbero potute impedire, ma questa è tutta un’altra storia! In realtà ci si domanda se in tali tipologie di accadimenti così inquietanti potrebbe esserci una qualche relazione tra la violenza dei rivoltosi e i rulli dei tamburi mediatici, i talk show insinuanti e i titoli sensazionalistici della stampa progressista. Beh, giudicate voi!

Noi di certo non possiamo ignorare che come minimo sia poco o punto ortodosso il processo comunicativo che anima molti di coloro che sono strapagati per «… con belli motti e leggiadri ricreare gli animi degli affaticati…». Alludiamo ai presentatori dei servizi pubblici di rilevanza sociale, da noi metaforicamente descritti in stile boccaccesco.

Difatti, finite le elezioni, con un curioso tempismo, le tempestose discussioni a poco a poco si assopiscono e cadono in oblio: tutto tace. E questo stato di cose ci fa sospettare sia sul controverso modus operandi della giustizia a orologeria sia sulla strumentalizzazione politica del servizio pubblico dell’informazione: casi scoppiati qualche giorno prima delle elezioni amministrative che si sgonfiano, guarda un po’, subito dopo il voto… sinceramente!

A questo punto, non v´è chi non veda come sia necessario riformulare il sistema del servizio pubblico d’informazione. D’altronde, da Roma a Milano queste amministrative hanno avuto un primo, vero vincitore: il pauroso astensionismo. E la ragione di tutto ciò va ricercata da una parte nella disaffezione degli elettori nei confronti dei partiti politici, i quali strumentalizzano le aggressività verbali, che i programmi televisivi pubblici e privati ci propinano tutti i giorni e di cui gli elettori non possono non tenerne conto, e dall´altra, secondo gli insegnamenti dell´economista Albert Hirschman (prospettiva exit/voice), nella scelta del deluso cittadino di uscire dalla partecipazione politica, visto che le rimostranze, le lagnanze e le proposte di miglioramento non sortiscono alcun effetto.

Il servizio pubblico d’informazione nella democrazia
Detto servizio deve consentire ad ogni cittadino di formarsi liberamente un’opinione su ciò che realmente accade. I fatti devono essere scissi dai pareri e dall’ideologia: è svantaggioso per il sistema dell’informazione lottizzato dalla politica, ma necessario per un’autentica informazione! L’influenza partitica non deve alterare la realtà: oggi, al contrario, assistiamo impotenti all’arbitrio delle proposte politico-editoriali, o più espressivamente allo strapotere protagonistico, quasi divistico, dei presentatori di talk-show.

Ma ciò che ci viene propinato è servizio pubblico? Macché!

Perché un servizio pubblico sia tale da meritare questa definizione bisogna che le rappresentazioni dei fatti trattati siano essenzialmente espositive in modo da consentire ad ognuno, e vogliate scusarci se ci ripetiamo, di farsi una propria opinione della realtà senza condizionamenti di sorta. E, riassumendo, ciò significa: chiarezza, imparzialità, apertura a prospettive diverse da quelle usuali, riflessione rispettosa del confronto senza spettacolarizzazione, compreso il contraddittorio al fine di poter formulare un giudizio il più possibile equanime e indirizzato alla ricerca della verità.

E campa cavallo! L’informazione libera ma vera, la cultura, il linguaggio appropriato e il gioco corretto (fair play) sono tutte preziosità ormai archeologiche. Che nostalgia della pedagogica “Tribuna politica” (anno 1961), che molti di noi ricorderanno! Ma ahinoi, salvo poche e dovute eccezioni, all’odierno popolo piace questo stato di cose e poi esso, dopo i nutrienti talk show, adora trastullarsi con quegli spettacoli ricreativi che passa il convento: “L’isola dei famosi”, “Grande Fratello”, “C’è posta per te” e via dicendo.

Dunque? Allo stato, la vediamo nera… l’albero si raddrizza quando è piccolo! Purtroppo oggi questo è il Belpaese: sensazionalismo, protagonismo, euforia, divertimento!

«Questo Paese morirà sommerso dai talk show sulla politica e anche in punto di morte farà a gara a chi alzerà di più la voce», ha scritto di recente Raffaele Barberio, giornalista, direttore e fondatore di “Key4Biz” (quotidiano online sulla digital economy e la cultura del futuro). Nondimeno qualcuno, non rassegnato a così tanto conformismo, si domanda: «Un po´di buon senso, infine, esiste ancora?». Eccome, ma rimane ´imboscato` per paura del senso comune! A questo punto che diamine dire? Stando così le cose, allora ci pare più che appropriato concludere con quanto asseriva il poeta satirico Decimo Giunio Giovenale: «Il popolo due sole cose ansiosamente desidera: pane e i giochi circensi (panem et circenses)».

E Giovenale non si sbagliava davvero!

Giuseppe Arnò dirige La Gazzetta italo-brasiliana – http://rivistalagazzettaonline.info/